sabato 20 febbraio 2010

Introduzione a 'Romanzi per i manager', Marsilio, 2000

Ecco l'Introduzione così come l'avevo scritta, a monte di qualche modifica poi apportata dall’editor della Casa Editrice.


In una sera d’autunno del 1991 passeggiavo per via Porpora, a Milano, insieme a Raoul C.D. Nacamulli. Conoscevo da poco Raoul, professore di Organizzazione Aziendale, direttore di Sviluppo & Organizzazione, probabilmente la più accreditata rivista italiana di studi organizzativi. Avevamo ragionato insieme del caso di una piccola impresa che allora dirigevo, una ‘organizzazione snella’, ma ora parlavo a Raoul di quest’altro mio mondo, i miei interessi critico-letterari (in parte destinati a concretizzarsi nel Viaggio letterario in America Latina, Marsilio, 1998). Gli dicevo di come in fondo i due mondi si tocchino: esistono romanzi che sono vere case histories, perfette rappresentazioni di modelli organizzativi, ed esistono autori, come per esempio Balzac, che meglio di qualsiasi sociologo hanno saputo descrivere non solo un’epoca, ma anche il funzionamento della macchina produttiva.
Per i raffinati Balzac era un pauvre scribouiller, un povero scribacchino megalomane e superficiale, bersaglio ideale di lazzi e di caricature. Ma lui andava dritto per la sua strada. Nel 1825 –a 26 anni– aveva tentato fortuna nell’editoria, cercando di avviare prima una tipografia e poi una fonderia di caratteri. Imprese disastrose, come tutte quelle nelle quali non cesserà di imbarcarsi. In Sardegna tenterà di rimettere in funzione antiche miniere d'argento. Fonderà riviste, ma la Revue parisienne, redatta da lui solo, naufragherà dopo tre numeri in un mare di debiti. Tenterà la sorte anche in politica, cercherà di salvare la testa a condannati a morte.
Ma non si arrende mai. Come i suoi personaggi cade nella polvere, ma risorge sempre dalle sue stesse ceneri. Lo sostiene l'intima convinzione del suo genio.
Ciò che veramente lo entusiasma sono gli inventori e le invenzioni. Le nuove possibilità offerte da scienza e tecnica: “Oh, che vita straordinaria!”. Una intera parte delle Illusioni perdute è dedicata alle “sofferenze di un inventore”, David Séchard che cerca di produrre la carta direttamente a partire da fibre vegetali, anziché con gli stracci: è una rivoluzione necessaria per la diffusione di massa dei prodotti editoriali; Balzac ci crede – ed per questo riesce, in un romanzo, ad anticipare una storica innovazione.
Raccontavo queste cose, divagando e facendomi prendere la mano dal tema che mi stava cuore, quando Raoul mi interrompe e mi dice che sì, questo potrebbe essere il tema di una rubrica, in fondo Sviluppo & Organizzazione si propone anche di aiutare i suoi lettori a cogliere nessi, a guardare aldilà dai confini angusti della disciplina.
Raoul verifica l’idea presso alcuni membri del Comitato Scientifico della rivista, mi aiuta a mettere a punto la rubrica, ad articolarla in sequenze di brevi brani commentati; sceglie anche il titolo: Il Principe di Condé.
La rubrica prende il via con il numero 129. di Sviluppo & Organizzazione, il primo del 1992.
Si apre con una Premessa che ripropongo ora tale e quale.

“Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi”. Lo aspetta una dura battaglia, ma non fatica a prendere sonno. Non solo perché era molto affaticato. Soprattutto perché “aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina”.
Così inizia il secondo capitolo dei Promessi sposi. Manzoni contrappone il principe di Condé a don Abbondio, che “invece non sapeva altro ancora se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia”. Mentre il principe non tarda a prendere sonno, don Abbondio, incerto ed insicuro sul daffarsi, si appresta a vivere una notte di “consulte angosciose”, di sonno agitato, di sogni terribili.
Il principe ha una chiara idea del quadro competitivo e delle forze in campo, ha fatto le sue scelte. Don Abbondio, all’opposto, incapace di prefigurare il processo, incapace di darsi obiettivi, vive in preda all’ansia. Si vede di fronte un quadro segnato dal continuo emergere di fattori incontrollabili, di fronte ai quali non potrà far altro che approntare interventi correttivi di emergenza e tecniche dilatorie: “quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo”.
È evidente che il principe di Condé e don Abbondio rappresentano due diversi, anzi opposti stili manageriali. Potremmo anche chiederci quale è il migliore. Lo stile del Gran Condé ci appare –astrattamente– il più efficace. Qualcuno potrebbe però anche eccepire che la consapevolezza della propria inadeguatezza che segna l’atteggiamento di don Abbondio è una forza più grande della rischiosa sicurezza del principe.
Non ci interessa qui prendere partito per uno o per l’altro dei modelli. Ci interessa notare che sono entrambi, a pieno titolo, esempi di gestione di situazioni complesse, stimoli utili a riflettere sui nostri comportamenti di capi, di dirigenti, di manager, in genere di persone che lavorano.
Da dove di solito prendiamo spunto ed esempio. Quali lezioni seguiamo? Siamo portati a dare importanza a libri di guru del management, di grandi consulenti, docenti universitari americani, giapponesi, più raramente europei o italiani.
Cerchiamo modelli nella fisica, nella teoria generale dei sistemi, nella cibernetica, nella sociologia, nella epistemologia. Ma trascuriamo la letteratura, che è invece così ricca di scenari socioeconomici, di sfondi che sono luoghi di lavoro, di studi di casi aziendali e anche, a voler guardare, di modelli euristici belli e fatti, pronti per l’uso: di ciò il famoso passo manzoniano non è che un piccolo esempio.
Questa rubrica parlerà solo di questo. Autori scelti arbitrariamente, brani selezionati in base a criteri tutti personali, perché non si tratta di proporre schemi, di indicare vie. Si vuole semplicemente, attraverso divagazioni che speriamo anche amene, offrire qualche stimolo, invitare ad allargare lo sguardo.
Ogni lettore, così come qui facciamo, potrà tornare su romanzi e racconti già letti, giocare ad applicarvi i propri strumenti professionali. Potrà abituarsi a cogliere nei propri percorsi letterari spunti in qualche modo utili a leggere le organizzazioni.
Potremo forse fare un passo ulteriore: provare a rapportarci con i sistemi organizzativi intorno ai quali –o dentro i quali– lavoriamo, allo stesso modo di come ci rapportiamo con i mondi possibili della letteratura. Con lo stesso piacere e con la stessa partecipazione con cui leggiamo un romanzo, entrare nel gioco, osservando gli attori sociali come personaggi, l’articolazione dei ruoli come struttura narrativa, l'evoluzione del sistema come sviluppo di una trama."


Non credo che ci siamo molto da aggiungere. Sono passati otto anni. Mentre scrivo queste righe sto lavorando alla cinquantatreesima rubrica (Sviluppo & Organizzazione esce con cadenza bimestrale). Sempre cercando di scegliere in base ad una doppia chiave: romanzi interessanti scritti da autori dei quali sia anche bello raccontare la vita. Grandi autori e grandi romanzi, ma non necessariamente: si può trarre stimolo e insegnamento anche da un libro giallo, dalla narrativa sbrigativamente bollata come ‘di consumo’. Anche nella lettura ognuno può e deve trovare i propri percorsi. E non deve mai vergognarsi dei propri gusti.
Le selezioni sono sempre soggettive, motivate per un verso, criticabili per un altro. Dovendo ora scegliere, per questo libro, ventidue autori e ventidue romanzi, ho scelto questi. Forse voi avreste fatto una scelta diversa. Ma è giusto così. Ognuno di noi sceglie a modo suo quando prende una decisione, o quando va in libreria a comprare un libro. Perché vorrei anche che, individuati i testi che vi piacciono di più, leggeste (o rileggeste) per intero il libro: la mia scelta dei brani è arbitraria; non è la migliore; non mi illudo di avervi presentato l’autore e la sua opera così come avrebbero meritato.
Un’ultima cosa. Per nessun motivo dovete sentirvi obbligati a seguire l’ordine che propongo nel Sommario. Potete lasciarvi guidare dalla curiosità, o dallo stimolo del momento, saltare di qua e di là. Potete cercare nell’Indice degli argomenti uno spunto, una illuminazione rispetto a un problema o a una idea che avete in testa.
I singoli paragrafi sono brevi. Possono essere letti in poco tempo, e possono anche essere presi come cose a sé stanti. (Penso anche che questo modo di leggere ‘disordinato’ sia consono con il poco tempo che di solito abbiamo a disposizione; e sia coerente con abitudini che abbiamo acquisito: la nostra cultura è fatta di frammenti, come i frammenti che mettiamo in fila facendo zapping, navigando tra i programmi televisivi. In fondo anche questo libro è una raccolta di frammenti).
In ogni caso, buona lettura.

Portoferraio, agosto 2000

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