Da quando lavoro, mi sono trovato a riflettere sulla gran capacità dei narratori di parlare del lavoro. Come ricordo nell'Introduzione a Leggere per lavorare bene, Freud diceva che il lavoro e l'amore governano la vita. I narratori, i romanzieri e i poeti lo sanno bene. E di questo parla la loro opera. Ma poi, anche fuorviati da ideologie che ci spingono a considerare il lavoro furto, alienazione e pena, finiamo per leggere nei romanzi solo amore. E lasciamo che a scrivere di lavoro siano economisti e sociologi ed esperti di management.
Qui noto anche un risvolto paradossale: economisti e sociologi ed esperti di management tornano oggi a dar valore alla narrazione. Solo tramite la narrazione, solo se si sa raccontare si produce conoscenza utile e fruibile. Il problema è però che economisti e sociologi ed esperti di management pretendono, senza esserlo, di essere capaci di narrare, mentre negano ai lavoratori, ai practitioner qualsiasi capacità narrativa. In realtà, qualsiasi lavoratore, qualsiasi persona che pratica una professione, sa narrare molto meglio di economisti e sociologi ed esperti di management. Questi ultimi guardano dall'esterno, osservano con prospopoea, con atteggiamento giudicante. Mentre chi vive i lavoro parla di quello che sa, racconta con passione. Questo è il grande equivoco dello storytelling.
Dico quindi: torniamo a leggere i romanzi. Così agli inzi degli anni '90 proposi a Raoul C. D. Nacamulli, direttore di Sviluppo & Organizzazione, l'idea da cui sarebbe nata la mia rubrica.
Inizialmente, devo dire, la mia idea si traduceva nel proposito di proporre, puntata dopo puntata, un romanziere, ed il suo personale modo di parlare di impresa, lavoro, organizzazione, produzione.
Scrissi qualche testo di prova. Il testo che resta nel mio ricordo esemplare, riguarda un romanziere esemplare -nessuno come lui parla con feervido entusiasmo del 'fare impresa'-. Honoré de Balzac. Ho pubblicato quel testo su Bloom.
Raoul, però, dopo -credo- essersi consultato con qualche membro del Comitato Scientifico della rivista, mi propose un lavoro diverso, più vicino al testo. Di volta in volta un romanzo commentato. Sono arrivato così alla struttura cui sono rimasto poi fedele: una introduzione nella quale si presenta l'autore, una descrizione del contesto nel quale si inquadra l'opera, brani dell'opera selezionati e commentati, ed infine un preciso riferimento alle fonti bibliografiche.
Potete rendervi conto della struttura leggendo in questo blog una puntata della rubrica, non compresa in nessuna delle tre raccolte.
Mi sono dato inoltrre un vincolo, al quale sono rimasto fedele talvolta con dispiacere: solo un romanzo per autore. Vincolo stimolante, perché mi ha spinto ad ad allargare lo sguardo, non soffermandomi troppo i su autori per me specialmente importanti e capaci di parlare di impresa, lavoro, organizzazione. Vincolo limitante, perché mi ha costretto ad escludere romanzi che sembravano scritti apposta per il Principe di Condé. Penso per esempio a Una vita e Senilità di Svevo, penso all'opera intera di Zola.
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