La rubrica prende il via con il numero 129. di Sviluppo & Organizzazione, gennaio-febbraio 1992.
Si apre con questa Premessa.
Si racconta che il principe di Condé dormì profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi”. Lo aspetta una dura battaglia, ma non fatica a prendere sonno. Non solo perché era molto affaticato. Soprattutto perché “aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare, la mattina”.
Così inizia il secondo capitolo dei Promessi sposi. Manzoni contrappone il principe di Condé a don Abbondio, che “invece non sapeva altro ancora se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia”. Mentre il principe non tarda a prendere sonno, don Abbondio, incerto ed insicuro sul daffarsi, si appresta a vivere una notte di “consulte angosciose”, di sonno agitato, di sogni terribili.
Il principe ha una chiara idea del quadro competitivo e delle forze in campo, ha fatto le sue scelte. Don Abbondio, all’opposto, incapace di prefigurare il processo, incapace di darsi obiettivi, vive in preda all’ansia. Si vede di fronte un quadro segnato dal continuo emergere di fattori incontrollabili, di fronte ai quali non potrà far altro che approntare interventi correttivi di emergenza e tecniche dilatorie: “quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo”.
È evidente che il principe di Condé e don Abbondio rappresentano due diversi, anzi opposti stili manageriali. Potremmo anche chiederci quale è il migliore. Lo stile del Gran Condé ci appare –astrattamente– il più efficace. Qualcuno potrebbe però anche eccepire che la consapevolezza della propria inadeguatezza che segna l’atteggiamento di don Abbondio è una forza più grande della rischiosa sicurezza del principe.
Non ci interessa qui prendere partito per uno o per l’altro dei modelli. Ci interessa notare che sono entrambi, a pieno titolo, esempi di gestione di situazioni complesse, stimoli utili a riflettere sui nostri comportamenti di capi, di dirigenti, di manager, in genere di persone che lavorano.
Da dove di solito prendiamo spunto ed esempio. Quali lezioni seguiamo? Siamo portati a dare importanza a libri di guru del management, di grandi consulenti, docenti universitari americani, giapponesi, più raramente europei o italiani.
Cerchiamo modelli nella fisica, nella teoria generale dei sistemi, nella cibernetica, nella sociologia, nella epistemologia. Ma trascuriamo la letteratura, che è invece così ricca di scenari socioeconomici, di sfondi che sono luoghi di lavoro, di studi di casi aziendali e anche, a voler guardare, di modelli euristici belli e fatti, pronti per l’uso: di ciò il famoso passo manzoniano non è che un piccolo esempio.
Questa rubrica parlerà solo di questo. Autori scelti arbitrariamente, brani selezionati in base a criteri tutti personali, perché non si tratta di proporre schemi, di indicare vie. Si vuole semplicemente, attraverso divagazioni che speriamo anche amene, offrire qualche stimolo, invitare ad allargare lo sguardo.
Ogni lettore, così come qui facciamo, potrà tornare su romanzi e racconti già letti, giocare ad applicarvi i propri strumenti professionali. Potrà abituarsi a cogliere nei propri percorsi letterari spunti in qualche modo utili a leggere le organizzazioni.
Potremo forse fare un passo ulteriore: provare a rapportarci con i sistemi organizzativi intorno ai quali –o dentro i quali– lavoriamo, allo stesso modo di come ci rapportiamo con i mondi possibili della letteratura. Con lo stesso piacere e con la stessa partecipazione con cui leggiamo un romanzo, entrare nel gioco, osservando gli attori sociali come personaggi, l’articolazione dei ruoli come struttura narrativa, l'evoluzione del sistema come sviluppo di una trama.
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